Ruth Beraha, We will name her Tempest - Galleria AplusA - Calle Malipiero, San Marco 3073 - Venezia
Mostra in corso dal 6 aprile al 15 luglio 2022
Alla Galleria AplusA una mostra frutto di una riflessione sul potere dello sguardo e sul dominio delle
immagini nella società contemporanea che nasce dal desiderio di sottrarsi a questo
sistema di potere.
Comunicato stampa della mostra Ruth Beraha, We will name her Tempest
Testo di Bernardo Follini
�La chiameremo Tempesta� � la mostra personale di Ruth Beraha negli spazi di
A plus A Gallery. Il progetto espositivo rappresenta il secondo capitolo di un pi�
ampia ricerca che indaga lo statuto dell�immagine e il potere dello sguardo all�interno di un universo narrativo animato da processi iconoclasti.
Corre l�anno 754 d.C., sulla riva asiatica del Bosforo vicino a Calcedonia l�imperatore bizantino Costantino V ha convocato il Concilio di Hieria. Trecentotrentotto vescovi pronunciano all�unisono una maledizione: �Se qualcuno cerca di
circoscrivere con colori materiali in effigie umana l�incircoscritta essenza e sussistenza di Dio, per il fatto che si � incarnato, e non riconosce invece come Dio,
Lui che anche dopo l�Incarnazione resta non di meno incircoscritto: anatema� 1.
Da tre decenni si sta diffondendo l�iconoclastia, un�ampia campagna avviata
dall�imperatore bizantino Leone III l�Isaurico contro la rappresentazione di Dio,
giocata sia su un piano teorico-dottrinale sia politico-istituzionale. Interrotta in
questa sua prima configurazione a met� del IX secolo d.C., l�iconoclastia otterr�
nuove sembianze nel corso della storia.
La scomunica lanciata a Hieria sembra vibrare e risuonare nuovamente nelle sale
di �La chiameremo Tempesta�. Un ambiente sospeso e ostile, abitato da tensioni
violente e da presenze invisibili. Al centro di questo conflitto si situa lo sguardo:
un dispositivo di produzione di soggettivit�, un meccanismo in grado di stabilire
un rapporto di potere tra soggetto guardante e (s)oggetto guardato.
Are you looking at me? Incalza una voce cupa emessa da quattro megafoni sorretti dalla doppia cupola in metallo che compongono l�installazione �R.U.? (self-portrait)�. Il me fout le mauvais eoil. Mi ha fatto il malocchio. All�interno di
una dinamica di confronti visivi di sguardi e contro-sguardi, il malocchio � uno
strumento per riportare l�ordine. Secondo l�antropologa Clara Gallini (1931-2017),
il malocchio � un �complesso ideologico normativo di ogni possibile forma di
�eccesso� economico e sociale, impedente quindi al subalterno la scalata al rango superiore�2. Una pratica, animata da ammirazione o invidia, che mantiene il
livellamento del gruppo sociale, sanzionando chi emerge in maniera considerata
eccessiva. Agendo come aggressione da parte di membri di una comunit�, ristabilisce un ordine sociale. In mostra il malocchio � l�anatema dello sguardo, ma a
pronunciarlo � una voce paranoica, che ne rivela l�ambiguit� d�uso: ora uno strumento iconoclasta di disciplina visiva, ora una pratica di contro-sguardo e quindi
di autodifesa. L? visitator? sono allora attratt? in una dinamica continua di esposizione e nascondimento, riduzione a immagine e suo annientamento. Sono infatti
scomparse le vetrate sorrette dal tamburo che compongono l�installazione �As you like it�. L�unica vetrata intatta conserva un�immagine nota, ma non pi� leggibile3. La rappresentazione � svuotata per lasciare spazio di proiezione propria su
una neutra superficie bianca. La materia trasparente del vetro perde la sua funzione di far vedere, piegandosi a un paradossale esercizio di opacit�.
Varcando la soglia verso il primo piano si incontrano gradualmente due sculture parte dell�installazione �Untitled�, uova in alabastro dalla superficie opalina
e liscia, forse consumate dalla devozione tattile feticistica dell? fedeli. Come in
istantanee di temporalit� progressive le sculture stanno subendo spasmi, si modificano contraendosi e preannunciando una potenzialit� generativa, in potenza
distruttrice. Tempesta � la promessa di sovversione dell�ordine normativo in vigore, il mostruoso femminile a venire di cui parla Jude Ellison Sady Doyle nel suo
omonimo libro: �un corpo che avrebbe dovuto essere sottomesso, ma che � diventato una smisurata minaccia�4. Nell�architettura della mostra � presente un�ultima
stazione. L�installazione �Anthema� � composta da sei speaker organizzati in una
coreografia circolare, con al centro un pulpito in metallo, un banco degli imputati lasciato vuoto, abitabile. Sono incise le parole �You look so pretty� e per due
volte �Liar�, etichette patriarcali che interpellano l? spettator?. Un nuovo coro
decreta la politica dell�immagine nella societ� distopica contemporanea.
L�ultima scultura parte di �Untitled�, attende al termine della sala, scrutando
l�accesso dall�alto, ora completamente mutata sotto le spinte di una pluralit�.
Nell�universo distopico concepito da Beraha, il �noi� di �La chiameremo Tempesta� � un corpo collettivo protetto dall�anonimato. Una moltitudine che evita
l�identificazione, per fuggire lo sguardo, il malocchio, e la sua violenta riduzione a
immagine. Nella sua disidentificazione, questo soggetto collettivo diviene evento
distruttivo per potersi finalmente autodeterminare come Tempesta.
Informazioni utili per la visita
Orari:
da martedì a sabato dalle 15.00 alle 18.00 (la biglietteria chiude un'ora prima).
Biglietti: ingresso libero.
Informazioni: +39.041.2770466
E-mail: info@aplusa.it
Sito web: AplusA |